Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Akamasoa e Padre Pedro aspettano Papa Francesco.
Madagascar. Akamasoa da discarica di Antananarivo, capitale del Madagascar, a città di vita vera, nuova, aperta all’universalità. E’ quanto ha realizzato Padre Pedro Opeka, missionario lazzarista argentino, già ottimo giocatore di calcio. Ha realizzato questo miracolo sociale e religioso in una periferia maleodorante, dedicando interamente la sua vita.
– E domani in questa periferia trasformata dalla fede e dall’amore per i più poveri, accoglierà Papa Francesco che sin dall’inizio del suo pontificato ha indicato le periferie come luogo privilegiato di evangelizzazione.
– E poi, l’amore per il calcio, il calcio vero, che può abbattere muri, costruire futuro, ma che può anche stagnare in sterili e malsani nazionalismi, magari con risvolti razzistici. Sarà un incontro di festa, di gioia, di quella vera gioia che solo i poveri riscattati sanno trasmettere.
♦ Domani, domenica 8 settembre, in Madagascar Papa Francesco varcherà la soglia della comunità Akamasoa di Padre Pedro Opeka missionario argentino. Troverà ad aspettarlo il suo connazionale e insieme a un sorriso e un abbraccio, ci saranno gli inevitabili richiami al campionato di calcio argentino.
♦ Papa Francesco, è cosa nota, è un appassionato tifoso del Club Atlético San Lorenzo, mentre padre Pedro è un missionario lazzarista, ex calciatore di ottimo livello. Sarebbe potuto diventare un professionista del pallone, ma decise di lasciare lo sport agonistico per stare, in modo totalizzante, dalla parte dei poveri e dei diseredati.
♥ Padre Pedro, lasciato il calcio, partì per il Madagascar, isola dalla natura meravigliosa in cima alle classifiche di povertà del pianeta, portando con sé la Teologia della Liberazione di dom Hélder Câmara e un pallone.
♥ Si fermò in prossimità della più grande discarica di Antananarivo, la capitale del Madagascar, un luogo dal quale anche gli animali, a causa del fetore insopportabile, si tenevano lontani. Pochi animali in quella specie di inferno metropolitano, ma molti esseri umani, soprattutto bambini, che padre Pedro vedeva ogni giorno rovistare nell’immondizia perché nelle discariche c’è sempre modo di trovare qualcosa da mangiare.
♥ «Erano belli come angeli, lì in mezzo ai rifiuti. Un’immagine che non mi lascerà mai la mente» dice padre Pedro, che decise di tirare fuori, proprio lì, il suo pallone. Costruì campi da calcio e usò lo sport e nello specifico, il calcio, per evangelizzare. Indossando spesso la maglietta albiceleste della sua Argentina costruì, giorno dopo giorno, la storia di Akamasoa da centrocampista offensivo, portato alla finalizzazione.
Padre Pedro, infatti, preferisce le azioni alle parole. Ma una parola la pronuncia con uno sguardo di una intensità che fulmina: verità.
♥ «C’è verità nello sport», sostiene questo uomo che non si ferma mai, straordinario atleta di Dio.
Viaggia, tesse relazioni, viene più volte candidato al premio Nobel per la pace, ma sempre con un unico obiettivo: raccogliere donazioni e forza per tornare ad Akamasoa, prendersi cura di quel pezzo di mondo e strapparlo alla disperazione.
♦ Sono passati trent’anni da quelle prime partite a calcio sull’immondizia e oggi Akamasoa è una enorme comunità, divisa in 22 villaggi, dove vivono 25.000 persone, vengono assistiti per aiuti specifici oltre 30.000 poveri e, ogni giorno, 14.000 bambini vanno regolarmente a scuola.
♦ I libri, il Vangelo, il pallone sono strumenti che i ragazzi usano tutti i giorni, mentre ospedali, teatri, biblioteche, chiese e campi sportivi hanno la stessa dignità e importanza, secondo padre Pedro e quella sua vocazione alla verità, alla felicità e a quel saper “far squadra” che il missionario argentino incarna in ogni centimetro del suo corpo, in ogni parola che pronuncia, in ogni sguardo che attraversa i suoi occhi azzurri.
♥ Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente padre Pedro e la sua meravigliosa storia nel 1994, in occasione di un periodo che trascorsi in Madagascar per lavorare alla mia tesi di laurea e, senza che allora lo potessi immaginare, ascoltai una frase che avrebbe stravolto per sempre il mio modo di pensare allo sport.
♦ Perdonatemi: la ripropongo. Erano da poco terminati i Mondiali di calcio negli Usa e i bambini di padre Pedro, meravigliati di fronte a quello spettacolo planetario, conoscevano Gesù e Roberto Baggio. Uno di loro mi spiegò la differenza fra quei due campioni: «Gesù non avrebbe mai sbagliato un rigore nella finale del campionato del mondo!».
(Mauro Berruto, cf. Avvenire.it, mercoledì 4 settembre 2019).