Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano
Storie belle… per vivere meglio
Accanto ai lebbrosi per 45 anni, poi il Covid.
–Un mese fa moriva padre Giorgio Abram, francescano conventuale, che per 45 anni è stato accanto ai lebbrosi, missionario in Ghana dove il Covid se lo è portato via il 6 marzo scorso all’età di 77 anni. – «San Francesco ha provato ciò che sto provando io», diceva con un sorriso.
– «Padre Giorgio era un grande uomo, con grandi capacità intellettive e umane, che annunciava il vangelo tramite la sua grande simpatia, disponibilità e generosità verso i più bisognosi. Con il suo modo di fare ha dato vita a una notevole rete di amici, volontari, benefattori che tuttora contribuiscono a diffondere l’opera di sostegno ai più deboli da lui realizzata».
– «Viveva per l’Africa, l’amava con tutto il cuore e con il suo spirito sempre giovane ha contribuito ad alleviare le sofferenze di tantissime persone» – Solo due mesi fa padre Giorgio era tornato in Italia per salutare il fratello, padre Giuliano, anche lui conventuale e anche lui vinto dal coronavirus. – Commosso il ricordo di don Luigi Facchinelli, già parroco di Cristo Re, comunità di Trento molto legata a padre Giorgio Abram.
Missionario e medico.
♦ «Padre Giorgio era un grande uomo, con grandi capacità intellettive e umane, che annunciava il vangelo tramite la sua grande simpatia, disponibilità e generosità verso i più bisognosi. – Laureato in medicina, ha dedicato tutta la sua vita alla lotta contro la lebbra e ad altre malattie della pelle, in particolare all’“ulcera del Buruli” che colpisce soprattutto i bambini. Solo due mesi fa padre Giorgio era tornato in Italia per salutare il fratello, padre Giuliano, anche lui conventuale e anche lui vinto dal coronavirus.
♦ Il suo impegno, fondato su grandi basi di carità evangelica unite a vaste conoscenze mediche lo ha portato a scoprire terapie efficaci, a ristrutturare centri di riabilitazione, a creare dei corsi per medici e infermieri per la cura del morbo e a fondare due ospedali. La sua competenza e professionalità lo hanno fatto in breve tempo considerare un’autorità da varie associazioni sanitarie mondiali e si deve a lui la fondazione dell’Organizzazione internazionale contro la lebbra (Ialo) per combattere la malattia in Ghana e nei Paesi limitrofi, spingendosi persino in Vietnam su richiesta del governo locale.
♦ Ora questo morbo, grazie anche al lavoro e allo studio di padre Abram, non fa più paura nello Stato africano: dai cinquantamila casi registrati ogni anno quando Ialo fu istituita (1977) si è passati ai poco più di ottocento censiti recentemente.
♥ Il missionario definiva la sua attività «una scelta vocazionale per arrivare a coloro che hanno più bisogno, agli “scarti” nelle “periferie del mondo”».
Le intuizioni mediche di Padre Giorgio.
♦ Durante l’intervento al convegno dei missionari trentini in Africa «Sulle rotte del mondo», tenutosi nel settembre 2011 a Trento, padre Giorgio aveva spiegato come «il grande passo in avanti effettuato in Ghana è stato la scoperta di farmaci che curano la lebbra e uccidono il batterio che la provoca.
Prima si faceva ricorso a batteri statici e quindi si doveva continuare a tenere i batteri fermi, ma non sconfitti.
♦ Invece con la rifampicina, un antibiotico che va direttamente al microbatterio della lebbra, sappiamo che si può guarire. I pazienti possono essere anche curati in casa».
Un lavoro paziente e difficile quello iniziato dal missionario trentino che giorno dopo giorno ha contribuito fin dal suo arrivo in terra africana a ricostruire il tessuto sanitario per curare sul nascere la malattia e toglierle subito la contagiosità, e al contempo combattere l’ignoranza e riabilitare i malati.
♦ Le chiavi di volta sono state: chiusura dei lebbrosari, campagne informative e preparazione del personale sanitario. Padre Abram, dopo essere diventato coordinatore per il Ghana delle iniziative di lotta alla lebbra dell’Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo) e del programma nazionale antilebbra, diede l’impulso, come detto, alla creazione di piccoli centri sanitari sparsi in tutto il territorio in modo che anche le zone più abbandonate, dove nessun medico avrebbe mai accettato di trasferirsi con la famiglia, avessero la presenza di un infermiere o almeno una persona con nozioni basilari.
Un libro di testimonianze.
♦ La sua umanità e le esperienze vissute furono anche raccontate nelle pagine di un libro da lui scritto, “Quattro gatti senza storia” (Edizioni Messaggero Padova, 2015), in cui sono presentati in forma di racconto breve fatti e persone che descrivono, in toni pure ironici, situazioni drammatiche e senza via d’uscita.
♦ Come quella che lo vede protagonista su un’ambulanza durante il trasporto in serie condizioni dopo aver contratto la febbre gialla: una buca fora la ruota costringendo padre Giorgio ad alzarsi e a riparare il mezzo per l’insipienza dell’autista. Solo un esempio della grande forza d’animo, dello spirito combattivo di un uomo che non conosceva il significato delle parole “rassegnazione” e “impossibilità”.
♦ La grande forza d’animoFino lo spinse in un altro continente, in Asia, a curare i lebbrosi del Vietnam. Giunto nella struttura a loro dedicata, a Van Mon, non lontano da Hanoi, vedendo i novecento pazienti sfigurati e soli capì che bisognava agire senza perdere un minuto di tempo, mettendo da parte progetti elaborati e mettendosi a disposizione con umiltà.
♥ «Conoscevo il nemico, l’avevo guardato negli occhi più volte, quando ancora non era curabile», aveva raccontato tempo fa in un’intervista rilasciata al «Messaggero di Sant’Antonio».
«Per la gente la lebbra era una maledizione: credevano che un corpo sfigurato, ferito e mutilato fosse l’involucro di un’anima oscura.
Un tabù che segnava una vita per sempre. L’ammalato s’isolava, si abbandonava alla sua malattia, diventava cinico e aggressivo. E io di fronte a lui combattevo tra il mio sconcerto e il suo dolore.
♥ “San Francesco di fronte al lebbroso — mi dicevo — forse ha provato ciò che sto provando io”. Non è facile abbracciare il povero e l’ammalato, non è facile superare i propri fantasmi e le proprie paure, scorgere l’immagine e la somiglianza di Dio, oltre ciò che si vede».
(fonte: L’Osservatore Romano, 6 aprile 2021).